sabato 7 luglio 2007


INTRODUZIONE

Il miracolo della Vita e della giovinezza ci rende forti, unici e, talvolta, ci concede nell’incedere dei giorni, un quanto mai ingannevole senso di onnipotenza ed eternità. Costrizione inconscio dello spirito? Esigenza prestabilita per una “sana sopravvivenza”? E così la mente resta isolata dalle fatiche altrui, esiliandole in una realtà che non potrà mai riguardarci. Remota ed addirittura infattibile diviene quindi la possibilità che le vicissitudini occorse al nostro circostante, possano accadere a noi. Lo spirito dell’uomo, questo essere tanto eccezionale quanto delicato, provvede, quindi, ad eliminare dai nostri pensieri tutto ciò che è sofferenza e che si palesa, in migliaia di sfumature, intorno a noi. Ma tanto queste cose succedono solo agli altri………. E chi sono gli altri? (Ce lo chiediamo mai?) Niente e nessuno potrà mai intaccare questa nostra Vita, a volte semplice, talvolta tortuosa, con i suoi alti e bassi, che rimane tuttavia unica con i suoi acrobatici percorsi. Chi o cosa potrebbe sconvolgerla?Snaturarla? Ecco cosa pensavo…..ecco quello che ero…..
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CAPITOLO I

“Signor Santeramo, dall’esame delle radiografie abbiamo accertato la presenza di ghiandole nella parte anteriore destra del torace”. Il mio peregrinare cominciava così….. con la lettura del mio referto riguardante gli esami radiografici…. Dal Gennaio 2006 avvertivo un’intensa sensazione di bruciore allo stomaco, della spossatezza ed anche un leggero affanno ed in più vi era la presenza di una febbricola, mai alta, in verità, ma insistente e noiosa ogni “santa sera”. Di conseguenza decisi, dopo aver consultato diversi medici, di ricoverarmi per svolgere tutte le indagini di rito. Sulle prime non diedi peso a quelle ghiandole menzionate nel referto radiografico, sebbene sentivo uno strano indolenzimento alla spalla ed ogni qualvolta mi distendevo seguivano continui colpi di tosse. Solo la tac, successivamente, avrebbe rivelato il nome di quelle ghiandole, così come solo la gastroscopia avrebbe esaminato quella incognita allo stomaco che, nell’apice del dolore, pareva essere una candela accesa tanto il bruciore. La gastroenteologa, una dottoressa gentilissima, dopo esigue domande circa le mie condizioni generiche di salute e le mie abitudini alimentari, mi fece sdraiare lateralmente su di un lettino; una puntura di valium, poca pausa e si avviò un esame che portava un tubo nero a far conoscenza col mio stomaco, lo scrutava ci girava intorno fino a che si fermò in un punto laddove l’assistente della dottoressa con un’azione repentina introducendo un cavo metallico nel tubo stesso raggiungeva quel punto specifico, al suo via mi sentii pungere, seguirono tre quattro immersioni dello stesso cavo, stava pescando nel mio stomaco! Quei piccoli frammenti di tessuto prelevati poi vennero sigillati in un contenitore spedito in seguito in laboratorio per analizzarli, esame che richiedeva una risposta in una quindicina di giorni circa. A quel punto il lavoro della dottoressa terminò parlandomi genericamente di ulcerazioni e da quel momento ricordo solo che il valium mi fece effetto solo dopo aver raggiunto il mio letto perché crollai. In attesa del referto seguì la tac al torace, una macchina che per la prima volta mi parve infernale ma che era necessaria per immortalare quelle ghiandole. Non fu un esame cattivo, bastava stare fermi e da quel momento in poi non mancava nulla, solo la diagnosi. Tutta l’attesa, dal giorno della degenza fino ai momenti dei risultati definitivi, non pronti o forse pronti poi ancora non pronti, era satura di una spasmodica ansia. Diedi a quello stato d’animo il nome di “morbo dell’attesa”. Un tarlo nel cervello che mi portava a pensare alle patologie più gravi e disparate, certo era che non si trattasse di un comune raffreddore. Ecco il momento tanto atteso, qualcosa si stava schiarendo, avrei saputo finalmente cosa stava accadendo al mio corpo. Qualche istante ed ero di già nello studio del primario di quel reparto:, “Chiuda pure la porta signor Santeramo” - facendomi accomodare di fronte a lui, mentre il mio fascicolo era in bella mostra sulla sua scrivania. Quindi cominciò a sfogliare tutte quelle carte che mi riguardavano e sulle quali vi erano scritte parole scientifiche e mai sentite prima che, mio malgrado, avrei imparato a conoscere di li a poco. Ecco il referto della gastroenteologa, con tanto di foto dedicate al mio stomaco. A quel punto, quel silenzio assordante fu rotto dal suo: “Dunque signor Santeramo, questo è il suo stomaco”,- disse mostrandomi le radiografie – “e, come vede da queste foto, ci sono due grosse ulcerazioni”. Lessi nelle parole e nello sguardo di quell’uomo quasi una certa ritrosia nel comunicarmi l’effettivo stato delle cose. Gli istanti veloci parvero diventare eterni, quella attesa quella voglia di sapere mangiava ferocemente la mia mente e le mie riflessioni. Il medico sembrava quasi prendere tempo, girare, usando tecnicismi dialettici, intorno al nocciolo di quella questione che tanto mi faceva penare. Fino a che fui io ad interromperlo domandandogli a bruciapelo: “Dottore possiamo parlare di tumore?”. E lui solo con la testa annuì. Strano, mi sentii interamente sollevato, tutta quella sfibrante attesa finalmente era cessata, non ci fu neppure il tempo di parlare di quelle ghiandole al torace che un’ora dopo ero fuori la clinica con un foglio di dimissione in mano con su scritto:”Linfoma gastrico”…. Avevo ancora la clinica alle spalle che pareva non distanziarsi mai, una fitta pioggia bagnava il mio viso, pareva penetrare con insistenza nella mia testa, e mettere ancor più scompiglio nei miei pensieri già aggrovigliati, indecifrabili, confusi…Dovevo riflettere, sforzarmi di mettere in ordine delle idee in quel caos di ansie e timori in cui ero sprofondato. Ero da solo mentre stavo vivendo l’incubo peggiore inghiottito da un oceano di sabbia, con la sensazione di non riuscire a liberarmi, proprio come accade di notte, non tutte le notti, quando ci si risveglia madidi di sudore….Ecco come mi sentivo mentre udivo riecheggiare negli anfratti della mente un grido d’aiuto. Era il mio grido quello che sentivo, l’eco della mia richiesta di redenzione, il riflesso del mio dolore e di quel senso di smarrimento. Mi ritrovavo così ad avere bisogno d’aiuto. Mi sentivo indifeso e impreparato per ciò che stavo vivendo….e la ma sensibilità acuiva la sofferenza. Dove trovare le forze…. Mi sentii ritrovato e sollevato alla vista del dott. Montinari venuto in mio soccorso, mi sembrò ricevere un abbraccio interminabile, lo vidi nell’ attimo giusto, lo vidi un padre e non perché chiunque m’avrebbe trasmesso la stessa sensazione anzi, in quel momento forse nessuno ci sarebbe riuscito, lui si. Mi dette le coordinate circa la cura da fronteggiare a Bari da un suo collega nonché amico, presso il laboratorio di Ematologia del Policlinico, mi dette una busta includente saluti allo stesso ematologo ed una referenza dedicata al sottoscritto per una miglior cura possibile. Mi dette chiarore… Fu lì proprio in quella fase che incominciai a pensare alla mia malattia, convinto fosse terra di conquista per un oncologo e che invece spettava ad un ematologo trattarla; fu lì che iniziai a capire che l’oncologia era solo un termine sommario unicamente per chi aveva avuto la sorte di non conoscere questi segnali di arresto crudeli della vita ordinaria.
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Il confine di una persona malata porta a specchiare sul rapporto tra normalità e malattia, tra vita reale e profondità ospedaliera. Tra passato presente e.. futuro. E’ difficoltoso avviarsi a passeggio per le vie cittadine con la convinzione di un tempo. laddove il proprio corpo si avvia a subire mutamenti vari ma è praticamente improbabile non essere osservati come diversi. La cosiddetta routine segue cammini che sembrano non dovermi spettare più: il lavoro ad esempio, a tal punto importante nella mia vita di “una volta”, è remoto oramai. I tanti colleghi che abbracciavo come veri amici li penso oggi come fratelli naturali e tutto ciò che dava gioia e stupefazione ha un gusto diverso. Il pensare, per ampi periodi viene a mancare. E’ proprio vero che la malattia favorisce l’attenzione per ciò che davvero conta, muta il corpo e l’anima ma, è anche certo che provo tanta nostalgia per quel modo d’essere, un po’ leggero, superficiale o ingenuo, che forse ha abitato fin troppo spesso in me e che io ho sempre assegnato alla routine della mia vita di una volta. Una via di mezzo finalmente senza questa angosciosa malattia sarebbe il mio ideale di vita. Punto il dito dritto questo obbiettivo, che sia sinonimo di esistenza e grazia. Ed allora mi vengono in mente i dannati nell’inferno di Dante i quali vedono il futuro, ricordano il passato ma ignorano il presente...
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CAPITOLO II

Bari, ultimi giorni di Febbraio e, mentre l’appuntamento più importante della mia vita era alle soglie, io con una sorta di riti propiziatori mi ordinavo a puntellare l’impatto più depredante che avrebbero potuto darmi quei professori conoscitori nel parlare della mia malattia. In definitiva stavo preparandomi al meno bene. La malattia nel frattempo si era aggravata, camminavo a fatica e fiatavo affannosamente, una rapida sosta ogni una decina di passi ma ci arrivai puntualissimo a quell’appuntamento. Il mio forzato e calmo avanzare era padrone e dava l’impressione dentro me di correre velocissimo. Ricordo che cercavo di tendere l'orecchio a qualsiasi persona incrociassi dinanzi quel padiglione per saccheggiare le espressioni e gli stati d’animo che immaginavo dovessero diluviare come fontane impazzite da quella grossa bocca maligna che era l’entrata della divisione di Ematologia del Policlinico di Bari. Ma predominava il silenzio. Una stanza di viaggiatori assonnati senza età che riuscivano a dormire su sedie plastiche e scomodissime e un amplificatore sonoro che ogni infiniti minuti chiamava per cognome il successivo paziente. Ma c’era un numero da ritirare, proprio come in una panetteria, e poi gente insonne che dava l’impressione di voler aggrapparsi sino a strappare i camici dei dottori e delle dottoresse di passaggio nel corridoio delle terapie. Sembrava una stanza di un minicinema delirante. Miseri dottori riflettei tra me e me, restai stupito della loro infinita mansuetudine nei confronti di quelle persone invase quasi da un senso di disperazione, sempre con la pacca sulla spalla e sempre col sorriso. Ce ne sarebbero voluti almeno una cinquantina di quei dottori per colmare la convulsa attesa degli afflitti ed inquieti pazienti!!!Ecco il mio turno, bigliettino consegnato all’usciere, ed altro trattenersi in attesa quel megafono avrebbe scandito il mio cognome per la prima volta; passarono ore ed ore e iniziavo a comprendere quel senso di oppressione di quei pazienti impazienti. “Santeramo in Terapia 2!” neppure il tempo di affacciarmi nel corridoio che un infermiere mi giunse di fronte e, quasi impedendomi l'ingresso mi chiese: ”Santeramo Giovanni?” io, con un risolino gli risposi “si sono io” e lui subito: ”bene, venga con me…” e così seguii quella lunga corsia che mi portava in quello che avrebbe dovuto essere il mio nuovo inesplorato mondo e nel cammino voltando la testa prima a destra e poi a sinistra cercavo di carpire ciò che si compieva in tutte quelle stanze che incrociavo: “Terapia”, “Trapianto”, “Medicheria”, “Biopsie”. Ricordo che tra una stanza e l’altra i miei occhi si chiudevano per più secondi… Fui colpito da donne con bandana variopinti o da uomini completamente privi di tutti i capelli e peli corporei e con un mascherino bianco posto ad infagottare naso e bocca mentre il sottofondo era un incessante fragore di bottiglie di vetro; quel percorso pareva viverlo al rallentatore, preso talmente tanto che investii l’infermiere che stava facendomi strada quando si fermò per dirmi: “signor Santeramo si accomodi lì e attenda” indicandomi una sedia sotto una scrivania posta alla fine del corridoio. Si presentò l’ematologo pochi minuti dopo, tantissimi capelli brizzolati così come abbondante barba a coprire tutto il viso ed il che mi faceva un po’ rallegrare perché credibilmente invidiatissimo dai suoi pazienti spogli in tutto, ma un aspetto invitante e soprattutto un modo di porsi indolente e rassicurante, cercando di farsi comprendere quanto più possibile; c’era da aspettare la ratifica di quel famoso prelievo effettuato dalla gastroenteologa, mi disse che la parola Linfoma era di massima nel mio caso ma che di qualunque tipizzazione lui fosse stato, l’avremmo contrastato e stanato insieme…fu sorprendente sapere che vi era un alleato e per di più competente nell’affrontare il mio male. “Ragazzo mi disse, tieni presente che non abbiamo a che fare con una costipazione, ma con pazienza, cura e tanta forza possiamo predominare, niente pronostici perché ogni uomo, ogni essere umano ha una propria storia, un proprio differente destino e un diverso reagire per cui via i luoghi comuni, via internet e pensa soltanto alla strada che dovrai percorrere perché sarà lunga e sfiancante”. A quel punto, in attesa della risposta della biopsia gastrica al fine di avviare la cura giusta, mi dette appuntamento a qualche giorno dopo in quanto vi era da effettuare biopsia osteomidollare. Anestesia sui lati della schiena, 1, 2, 3, 4 somministrazioni. Me ne fecero tantissime. Mi dicevano che con questi farmaci si anestetizzava anche un cavallo, ma io ricordo che il dolore lo sentivo lo stesso. E poi girava, girava il trapano dentro le mie ossa per aspirare prima il liquido midollare e, mentre la siringa aspirava ebbi l’impressione di entrarci anche io dentro di essa. Il trapano girava sempre più pressato e mi accorgevo che qualcosa non stava andando come doveva andare. ”Ecco fatto" – disse il medico guardando la siringa dopo averla estratta dal mio osso ed invece niente, era necessario ripetere tutto da capo. Occorreva prelevare una scheggia di osso del midollo, ma nessuno ci riuscì per la bellezza di 45 minuti incessanti. Fu una sevizia quella biopsia, sentivo tutte le ossa del corpo muoversi e graffiare mentre la carne rimanere immobile e un infermiere occorso in aiuto dei colleghi in difficoltà che cercava di contenere i miei occhi ossessi ed increduli, un po’ come si fa ai bimbi sguscianti ad una siringa di penicillina.. ”Nulla da fare l’osso è troppo robusto”. Si decise che due giorni dopo si sarebbe riprovato con anestesia totale; non so cosa successe ma ebbero successo…. A quel punto ero libero di assumere medicinali e il primo impatto fu il cortisone che come un miracolo tolse tutti i disturbi che fino a quel momento rendevano la mia vita non vivibile, un po’ come i cocainomani attendevo l’ora della sniffata, mi dava fiato, toglieva i dolori ed annientava la febbre. Tutto come prima pareva, ma la mia ragione era smarrita e sapevo che era giusto un rimedio apparente per tirarmi su. I giorni che seguirono furono di preparazione introspettiva alla chemioterapia, questa cura che solo a sentirne parlare era così distruggente, così unica. Un infermità nella malattia….
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Se m’impossessassi per un minuto dello strumento del tempo, non rimuoverei nulla di tutto ciò che è stato fino ad oggi, non spingerei di un secondo nessun momento della mia vita. Sapere che la vita oggi e già il prossimo giorno può rivelarsi sottile, indecisa come una linea tratteggiata…. Ma, ad ogni pianto è seguito e rincorre comunque un sorriso, sempre… In qualunque vita, in qualsiasi limite, pronuncerei assiduamente la medesima frase: Grazie per quel che ho avuto qui. L’ esistenza. L’amore…… Tutto ciò certo che proseguirà senza sosta… L’amore che un uomo calca nella propria mano, qualche volta in modo troppo vigoroso, qualche volta in maniera apparentemente tenue. E’ pur sempre amore e mai sminuirlo… Se mi dirigessi in tutti i posti dei sentimenti che hanno segnato e segnano il mio cuore, direi grazie a chi mi ha dato un po´ di sé, applaudirei chi anche di passaggio m’ha pensato una volta soltanto. E per una volta soltanto se possedessi il congegno del tempo, non sarei, se lo sono stato mai, più infedele ad alcuno, mai più… tornando indietro direi: Grazie di vivere questo sogno qui, per sempre… Con me.
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CAPITOLO III

Una telefonata dal laboratorio di Bari mi enunciò la diagnosi: Linfoma Non Hodgkin a grandi cellule B stadio IV° Bulky con localizzazione allo stomaco e al mediastino, quest’ ultimo, uno spazio della cavità toracica situato nella parte mediana, tra i due polmoni. Per bulky si intendeva una massa superiore ai 15 cm ed era riferita alla localizzazione mediastinica. Aveva intaccato finanche il polmone destro provocandogli lesioni…. Anche il midollo, dalla biopsia osteomidollare risultò infiltrato da cellule tumorali. “Ma stia tranquillo signor Santeramo, non completamente infiltrato”…. Come potevo rispettare i compiti che l’ematologo mi aveva quasi imposto? E’ proprio il midollo che genera il sistema immunitario il quale svolge la funzione di produrre i globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine. Si trattava di me e di un qualcosa che era nato avvampava e si espandeva dentro me, a pochi centimetri dalla gola, a confine col cuore ed a contatto con un polmone. Il computer si accese e furono ore e giorni che forse anche lui, il mio pc si chiedeva cosa davvero stesse succedendo! Maree di siti e newsgroup blog girati e rigirati, infine migliaia di informazioni ed un eccessiva confusione dentro di me. Alla fine capii che c’erano tre categorie: la prima dove si parlava di questa malattia che non dava scampo, la seconda che era possibile uscirne e tornare a vivere come un tempo e l’ultima che poteva garantire un massimo vitale di cinque anni…. Questo gioco delle tre carte a dire il vero non mi allettava, una roulette russa che avrebbe sprigionato solo incubi continui nel corso dei giorni e terapia dopo terapia…. Avevo necessità di tutto ciò potesse solo aiutarmi… Avevo compreso che il Linfoma Non Hodgkin era un cancro che colpiva il sistema linfatico e che provocava il cattivo funzionamento dell’ apparato immunitario facendo nascere così dei linfonodi in determinate parti del corpo che vertiginosamente si moltiplicavano, nel mio caso all’altezza del torace. L’ematologo aveva ragione, ma la mia curiosità non era incatenata tanto a quante probabilità di permanenza in vita avessi, bensì allo schema della cura, al numero di trattamenti terapeutici da effettuare e cosa era previsto ciclo dopo ciclo, in sostanza questo famoso protocollo cosa prevedeva. Il mio doveva essere un viaggio e volevo conoscere la strada da percorrere. Alle 7,30 c’era la corriera e come un bravo studente col mio zaino a tracolla mi confusi tra i viaggiatori agitati a ripassarsi la lezione su di un libro, per sorte tra loro ero il più preparato di tutti perché iniziava la mia vera lezione e nel mio caso, poteva non esserci la circostanza di recuperare se qualcosa fosse andato male... Ma la mia convinzione era una soltanto e cioè che tutto sarebbe andato bene. Ero risolto ed euforico. Senza problemi e senza perdermi più, arrivai al padiglione ematologia dove vi mi introdussi ritirando il bigliettino all’ingresso e consegnando le impegnative all’usciere. Nulla era mutato dall’ultima volta, sempre tanta gente, sempre quel clima di silenzio rintronante e tanta attesa. Un paio di ore dopo mi convocarono in “terapia 2”, entrai in una stanza di tre metri per quattro, 4 letti sistemati ad ogni angolo e tre sedie plastiche poste centralmente e dieci persone collegate ognuna ad una flebo sostenuta da un tubo metallico con cinque rotelle. Capitai sul letto dove bisognava spartire lo spazio con un paziente, quindi seduti e senza la possibilità di appoggiare le spalle. Ma ero li dove avrei dovuto essere. Mentre mi soffermavo su un paio di sacche gonfie di sangue da trasfondere , al puzzo di vomito che a voglia ad eliminare…al colore blu, rosso e bianco delle chemio sparse tra i pazienti presenti in quel buco di stanza, giunse un infermiere il quale mi spiegò che dato ero alla prima seduta, avevano disposto vista la potenza della chemioterapia da effettuare che questa l’avrebbero divisa in più giorni per cui, avrei iniziato in modo tenero. “Signor Santeramo l’avviso che il cortisone assieme ai suoi benefici comporta effetti collaterali non di poco conto ma per reggere alla chemioterapia è impossibile farne a meno; il suo uso quotidiano che durerà mesi le farà nascere un gozzo dietro il collo, le si indeboliranno le ossa, la farà gonfiare nella parte superiore del corpo, dalla cintola in su precisamente, pertanto, il suo fisico assumerà l’aspetto del pit bull. Potrebbe portarle sbalzi di umore tipici dei soggetti sofferenti di bipolarismo ”. Che culo pensai tra me e me! Ma non mi toccò per niente il problema, erano solo fattori di passaggio che sarebbero dissolti col tempo una volta interrotti. Shine on you crazy diamond sparata in cuffia come colonna sonora, ago nella vena del braccio destro e via giù quel liquido dal colore simile ad un buon vino rosato. Ogni tanto l’infermiera veniva con una nuova flebo che mi collegava assieme alla chemio: “questo è antivomito” e poi: “questo è il protettore renale” e poi ancora: “questo è cortisone”. L’unico problema che accusai appena dimesso fu l’ affaticamento ai muscoli delle gambe. Temevo peggio… Il giorno dopo stesso percorso, stesso pullman e più o meno stessi studenti; l’infermiere si presentò nella stanza e mi preparò alla chemioterapia che stava per iniziare avvertendomi che questa, a differenza di quella del giorno prima, m’avrebbe provocato forte sonnolenza e soprattutto una sensazione di soffocamento proprio all’altezza della gola. Non era certo ma poteva accadere e se fosse stato così, io avrei dovuto chiamare immediatamente l’infermiera la quale mi avrebbe somministrato del cortisone per attenuare quel sintomo. Andava bene come il giorno prima, un po’ più sonnolente e steso del tutto sul letto quando mi alzai di scatto perché mi sentii afferrato come da una morsa che comprimeva sempre più alla gola facendomi mancare il respiro e non dandomi nemmeno la possibilità di chiamare l’infermiera; il mio vicino di letto lo fece al posto mio vedendomi in difficoltà. Lui sapeva cosa si provava in quanto l’aveva misurato molto tempo prima…. Il cortisone e l’interruzione per pochi minuti dell’infusione fecero tornare la situazione alla normalità. La brutta notizia era quella che quel farmaco specifico avrei dovuto assumerlo per altre cinque sedute questa volta complete mentre la buona fu il sapere che questi sintomi narcotici si verificavano solo alla prima seduta in quanto l’organismo alla seduta successiva l’avrebbe riconosciuto e non risentito. Dalla volta successiva le sedute sarebbero state intere pertanto quel cocktail di farmaci sarebbero stati bevuti dalle mie vene in modo usuale e totale. Ero contento di aver superato a pieni voti quelle prime due sedute, me lo aspettavo ed ero fermamente convinto che tutta la mia energia e tutta la mia positività sarebbero risultate armi vincenti su quel liquido che mi circolava dappertutto e vittoriose sulla patologia stessa.
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Stringevo Fabiana in braccio ieri sera, Alessia che bella, seduta affianco m’ha preso per la mano destra, legandosela nella sua. Dio che forza! Fabiana si affacciava per cercare Alessia, Alessia mi guardava, ridendo… Fabiana che mielata e così piccola forse sentiva quel triangolo d’amore… E’ stato l’ istante tra i più dorati della mia esistenza, circondato dalle mie due vite, le essenze più belle, le entità più vere, le uniche due idee per le quali io affiderei la vita. Per le quali oggi vivo. Non voglio perdermi nell'interno di nessun tormento, devo essere forte! Forte come il vento.
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CAPITOLO IV

I giorni passavano e gli appuntamenti con le mie care flebo si presentavano in cadenza perfetta, una ogni diciotto giorni. Il petto in basso a destra incominciava a pizzicarmi e formicolarmi e lo stomaco non mi dava alcun problema più. “Dottore sento prurito e formicolio, perché?”. “Buon segno, cicatrizzazione….” Era una pioggia di marzo ma questa era una pioggia dolcissima perché sentivo Dio che sempre presente, aveva sicuramente posto il suo cuore. Tempo di rivalutazione, tac, gastroscopia e chissà cos’altro a confrontare il post chemioterapia…. Liquido di contrasto a ghiacciarmi tutte le arterie del corpo e via la tac accendere i motori, non respiri, stia immobile, può respirare, ecco fatto… La dottoressa uscì mi prese sotto braccio e mi disse in anteprima:”signor Santeramo le devo dare una bella notizia, la massa si è ridotta del 50%, continui così ed in bocca al lupo!” Mi venne da piangere, da uscir di senno dalla gioia. Me l’aspettavo!! Mi era costato fatica quel primo traguardo, vedere la vita correre da dietro una finestra con un’ aria così nauseata, con lo stomaco sintomaticamente pieno di mille litri di acqua e vomitando aria. A volte mi sedevo su di una poltrona, disarmato, in attesa passassero abbondanti ore fino a sentirmi un po’ meglio. Il più delle volte passavano giorni e poi la mia quotidianità piano piano riprendeva. Camminavo con un codice di debolezza molto alto ma previsto, avevo assunto sei chemioterapie ad alte dosi di farmaci citostatici in tre mesi, non stupide aspirine! Si sa, in queste situazioni, vista l’età giovane non si vede l’ora di tornare ad avere la forza che quella stessa età prevede. Cazzo Già, mi supplicavo, pazienta! Uno stronzo di televisore fece si che il mio cammino si bloccasse; lo stronzo fui più io di lui perché cercai di sollevarlo da terra sottovalutando il suo peso o sopravvalutando la mia forza. Sentii dietro la schiena uno strappo che mi portò indolenzimento lieve… Nei giorni a seguire dopo una visita medica ematologica mi invitarono a non fare più uso di cortisone in quanto il mio aspetto era decisamente mutato e all’apparenza rischiavo di esplodere per il disumano gonfiore. Faccia, collo, gola, busto non avevano nulla a che fare con le braccia e le gambe prosciugate dal cortisone. La sospensione del cortisone fu un colpo d’arma da fuoco diretto alla mia spalla perché quel famoso strappo emergeva sempre più con fitte spasimanti che mi prendevano da destra a sinistra nello spazio dorsale. Non c’era posizione tenesse le fitte, solo la sdraia, e lei era diventata tutto per me, la mia casa, la mia donna, mi dava sollievo e guai poi a rialzarmi, ci volevano delle manovre lunghissime per soffrire il dolore poco poco meno. Il corpo me lo sentivo lacerato in due. Il baricentro s’era perduto. Due mesi di notti insonni, antidolorifici, oppiacei, nulla aveva effetto, schiacciamento del soma d10 e nelle mie condizioni la ricrescita dell’osso era lentissima per colpa del cortisone, roditore ed indebolitore di ossa. Un busto al titanio nel mese di agosto mi faceva sentire un robot malmesso e soprattutto con qualche circuito fottuto. Questa situazione che mi rendeva completamente andicappato nel muovermi in quanto prendere una piccola fossa con l’autovettura significava martirio per la mia spalla pertanto dovetti spostare le mie cure presso il centro di Ematologia della mia città del quale mi avevano parlato bene. Il successivo passo terapeutico da affrontare previsto dal protocollo aveva come nome :”D.H.A.P.” che in breve è una terapia importante e soprattutto forte che precede l’autotrapianto ossia la reinfusione delle proprie stesse cellule staminali prelevate da una macchina chiamata separatore. Dopo una cura con medicinali per l’osteoporosi al fine di risolvere il problema dorsale, un appuntamento importante era la raccolta di cellule staminali pertanto prima di quell’ appuntamento c’era da effettuare una cura di globuli bianchi fatta da infiltrazioni sottopelle di un medicinale particolare, imparai da solo a iniettarmi quel medicinale FINE PRIMA PARTE
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Il sintomo della vita guida, e volteggiando fa sognare. Segno indissociabile come l’acqua d’una sorgente che incontaminata bagna l’anima dissetandola d’amore. Abbiamo obbligo del sintomo della vita, fa saltare un attimo solamente al di fuori del cuore, fa impugnare l’ineffabile, sebbene a prima vista inefficace o scontato e fa tornare di corsa indietro con le mani piene della ricchezza che la vita dona. Il sintomo della vita è un segnalibro. Mai dimenticare che quando non ci sono colori, si sciolgono gli spazi, non si intravedono fragranze, c’è solo il rumore del buio, bisogna semplicemente attendere il tempo giusto, perseverare e volere, desiderare pensando che il sintomo della vita spinge verso l’impossibile, ritrovandolo, prima o dopo. Siamo suoi padroni e suoi servi sebbene a volte non si riesca a udire e capire questo sintomo perenne. Il pensiero di un bacio, di un sorriso, di un abbraccio, una passeggiata senza meta o una amicizia tutta da scoprire, il sintomo della vita segue, e proteggendo fa sperare. Accenno instancabile di una polvere magica che inviolata si posa sui corpi proteggendoli miracolosamente col suo sapore. Scopri ed illuminati di sole nelle calde tue mattine, idealizzalo nel tempo tuo plumbeo e piovoso, ravvisalo nel tuo cielo, è un sintomo di vita.

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